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Portland

Quanto tempo

Sette anni dall’ultimo post. Quelle due persone che leggevano il blog saranno in vacanza.
Sette anni di vita in 10 secondi: siamo stati altri 3 anni nella parte Nord della contea di San Diego. Prima a Carlsbad e poi ad Encinitas, posto bellissimo. Qualche mese in Germania per lavoro, il nostro boxer che ci ha lasciati, troppo presto. La vita scorreva bene tra la spiaggia e il lavoro e il cibo meraviglioso. Ma il richiamo della foresta (urbana) di Portland e un’occasione di lavoro imperdibile ci ha riportato a casa.
Portland secondo round: filmati da RAI TRE per un documentario mai andato in onda, le elezioni del 2016 e i sette mesi di pianto, tristezza e sgomento in cui mi ha lasciato desiderio di emigrare in Costa Rica. I problemi di salute di mio padre lontano lontano. Poi altri 4 anni tra lavoro, nuovo lavoro per entrambi e nostro figlio che cresce: prima, seconda, terza e quarta. La doppia cittadinanza. Vendi casa, compra casa, la pandemia, BLM, le proteste e i fumogeni a Portland.
E ci ritroviamo qui, Settembre 2020. Come se nulla fosse stato.
La gente non scrive piu i blog e si fanno video e questa cosa nuova chiamata social media. Noi siamo qui, con WordPress e un vinile che suona Elvis Costello.

Ci risentiamo tra qualche giorno o tra qualche anno.

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California

Socal, San Diego e la nuova avventura

“Poco più a Est della laguna di Batiquitos, dove La Costa Avenue incrocia El Camino Real, si trova uno dei migliori Taco Shop della Contea Nord di San Diego e forse di tutto il Sud California. Gli avventori sono spesso ancora a piedi nudi di ritorno dalla spiaggia.”

Questa e’ una delle mie ultime note su quello scrapbook scarabocchiato che forse un giorno diventera’ il mio libro di appunti di viaggio. Poca motivazione nello stare di fronte al pc e scrivere quattro righe su questo blog quando il mare mi aspetta, ogni giorno.
Quelle tre righe rispecchiano il mio attuale stato d’animo, la voglia di esplorare questi nuovi posti, gente, colori e tradizioni.
Devo ammettere che inizio a capire perche’ quando si parla di San Diego e del Sud California ci si riferisce ad un paradiso. Lavoro non manca, dalle posizioni top fino ai lavori che richiedono meno qualificazione. Il tempo e’ stupendo: praticamente una temperature mite e costante, caldo al sole, fresco all’ombra. Mare stupendo e uno stile di vita cresciuto intorno ad esso. Gente cordiale, un mix culturale che non guasta mai e che si ripercuote nella tradizione culinaria della nuova Socal.

Per qualche motivo ho sempre avuto due sogni nel cassetto in termini di location: ho sempre desiderato vivere sulla costa, qualunque fosse stata, dal Nord Africa alla Liguria poco importa. L’altro piccolo sogno e’ sempre stata la California. Non riesco a trovare un motivo preciso, o la genesi di questa attrazione. Forse le ore passate davanti alla Tv o i libri letti da adolescente.

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Altro

Muoviti muoviti

relocate homeNulla a che fare con Jovanotti, a parte il titolo. Ho sempre sentito parlare di come siano frequenti le relocation per lavoro negli USA rispetto alla sedentarieta’ di noi italiani. Penso che sia venuto il mio turno.
Fino a quattro settimane fa non avremmo mai immaginato di lasciare la nostra amata citta’, Portland, i nostri lavori, la nostra casa (che abbiamo appena finito di ristrutturare).

Ad oggi sappiamo che fra quattro settimana saremo a San Diego, California. Un importante opportunita’ di lavoro ha bussato alla nostra porta e non abbiamo potuto resistere. In parte per l’aspetto economico, in parte per la voglia di vedere posti nuovi, gente diversa, clima diverso. Bisogna sempre essere in movimento in una maniera o nell’altra.

Sara’ dura abituarsi nel passaggio da 300 giorni di pioggia a 360 giorni di sole, con trenta gradi costanti, mare, surf. Ma, come si dice, e’ un lavoro duro e qualcuno dovra’ pur farlo.
Il nuovo datore di lavoro si occupera’ di tutto. In pratica una mattina saliremo su un aereo mentre un team di professionisti della relocation impacchettera’ le nostre cose e  le carichera’ su un camion, auto comprese e ce le consegnera’ a San Diego.
Avremo un appartamento e auto temporanee finche’ tutto sarà trasferito. Sembra tutto facile, anche spostare una casa e una famiglia di quasi 2000 km.
La ripresa del mercato immobiliare ci ha aiutato molto ed abbiamo gia’ trovato una coppia che prendera’ in affitto la nostra casa di Portland. Tra un paio di settimane voleremo a San Diego per cercare di trovare una casa da affittare per il prossimo anno, poi si vedra’.
Potremmo anche avere una crisi da rigetto da sole, se possibile!

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Cultura

La festa della mamma

Quanto tempo senza scrivere sul Blog! Scusatemi! Gli impegni della quotidianita’ a volte ti travolgono per mesi.
Volevo ringraziare tutte le persone che mi hanno scritto e continuano a scrivere sia per email sia qui come commento.
Mi fa piacere che il mio piccolo blog vi piaccia. Sembra che riesca a comunicare quanto avevo in mente e mi rende felice.
Sono ormai piu’ di cinque anni che sono qui. Ufficialmente il quinto anniversario sara’ il 26 Maggio. Mi rendo sempre piu’ conto di quanto mi sto distaccando dall’Italia. Le chat con gli amici d’infanzia sono sempre piu’ infrequenti, ormai quasi tutti i bookmarks sono di siti americani. Non sapevo nemmeno che fosse morto Andreotti!
Il tempo passa e piano piano ti accorgi che stai camminando in una direzione. Ho sempre pensato di poter tenere i piedi in due scarpe ma non e’ cosi’ facile. Mi lamento? Vorrei tornare indietro? Neanche per idea!!! Lascio a voi il divertimento della situazione politico/economica italiana 😉

Tornando al titolo volevo fare gli auguri a tutte le mamme: buon Mother’s Day a tutte quante!

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Cultura

Fatevi un giro tra i bidoni blu

Goodwill outlet

Tutte le volte che torno in Italia mi ritrovo, volente oppure no, in conversazioni nelle quali alcuni individui sembrano conoscere gli Stati Uniti da cima a fondo semplicemente con un paio di viaggi come turisti (Sai, io sono stato anche a San Diego!).
Vivo qui da 4 anni circa e devo dire che ogni tanto mi rendo conto di quanto non conosca affatto questo paese.

L’ultima esperienza che mi e’ capitata sono i cosiddetti “bidoni blu”. Vi sara’ capitato di vedere alcuni thrift stores e consignments stores, soprattutto Goodwill, che e’ un colosso presente negli USA ed altri 15 paesi. La prima volta che ho visitato Goodwill mi sono chiesto chi mai avrebbe potuto comprare qualcosa in quel negozio. Dopo alcuni mesi mi sono trovato a comprare qualcosa. Poi a donare e poi ancora a sostenere il modello in se, da buon “alternativo”.

I bidoni blu sono un’altra bestia. Chiaccheravo con un amico il quale mi diceva di un luogo speciale per il people watching. U luogo dove ogni tanto ci portava una ragazza per un appuntamento, per stupirla. Il mio cervello pensava a qualche bar sulla 23esima ma mi sbagliavo di grosso. Tim mi parlava dei bidoni blu di Goodwill. In sostanza tutto quello che non viene venduto, che non puo essere venduto o che non si ha tempo di smistare finisce nei bidoni blu. Un immenso centro Goodwill localizzato alla periferia della citta’ (nel mio caso Portland, OR). Un capannone enorme con immensi bidoni blu, rigorosamente allineati in file parallele con ogni tipo di oggetto all’interno. Ho deciso di farci un giro. Sono andato preparato, come da consiglio di Tim: cane in macchina, difesa personale in tasca, guanti e mascherina. Ai bidoni si raccoglie il meglio e il peggio della citta’: hipsters in cerca di un pezzo vintage e homeless alla ricerca di un indumento per superare l’inverno, casalinghe annoiate, hoarders, collezionisti di antiquariato, pazzi in generale, curiosi come me e cosi via. La maggior parte sono immigrati russi clandestini alla ricerca di qualcosa da rivendere per tirare a campare. All’interno dei bidoni si trova di tutto: ci si puo’ tagliare, si possono trovare escrementi e oggetti assurdi. Il tutto viene venduto a peso e quando vedi una bilancia alla cassa ti ritrovi a pensare utopisticamente ad un modello alternativo di produzione.  Non so se questo sistema esistera’ mai, ma quello di cui sono sicuro e’ che in questo contesto, in un economia mondiale in affanno, anche i bidoni blu hanno un loro ruolo: digeritori della produzione. Sono l’ultimo passo prima della discarica o come direbbe il mio amico Tim, sono una discarica un po’ piu’ “fancy”. La prossima volta che passate di qua, fatevi un giro ai bidoni, non ve ne pentirete.

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Cultura

Figli nati all’estero

Julian at the NICU

In passato, pensando ai figli nati all’estero, magari mentre studiavo diritto privato, mi immaginavo coppie in viaggio durante gli ultimi mesi e gravidanze premature. Non avevo mai pensato ad una situazione piu concreta.
Il dieci giugno dello scorso anno e’ nato mio figlio Julian Miles al St. Vincent di Portland, Oregon.

E’stata un esperienza bellissima in se, come per ogni padre. A questo si e’ aggiunto il fatto di essere lontano dalla mia famiglia e amici. Ore in videoconferenza skype per mostrare il piccolo dall’altra parte del mondo.
Ovviamente sono seguite decine di domande di amici riguardo alle differenze rispetto a quanto avviene in Italia.
Vi dico come stanno le cose: i neonati nascono qui negli USA allo stesso modo in cui nascono in Italia: che ci crediate oppure no, passano attraverso la stessa via, cosi come avviene da migliaia di anni 🙂

Julian oggi

La differenza sta nel sistema ospedaliero: partorire qui e’ come partorire in una bella clinica privata. Un infermiera a te riservata, camera stile albergo con divano per il futuro padre, menu alla carta e cose di questo tipo.
Purtroppo mio figlio ha deciso di venire al mondo piu presto del previsto e quindi e’ stato trattenuto nella NICU (terapia intensiva prenatale) per circa 10 giorni. Fattura arrivata a casa dopo questo soggiorno: circa 60.000 (sessantamila) dollari americani, di quelli verdi.

Per fortuna abbiamo una buona assicurazione sanitaria

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Ricette

La ricetta della focaccia genovese

Focaccia genovese
Focaccia genovese

Da alcuni mesi preparo una focaccia che fa impazzire gli amici americani che frequentano casa mia.
Si tratta di una classica focaccia ligure, ben alveolata, croccante e… unta.
Ho seguito la ricetta del blog di Vittorio che potete trovare a questo link.

Per ovviare ai soliti problemi di traduzione, ho convertito le unita’ di misura e aggiustato:

1 cup of water at about 70f
4 tbs extra virgin olive oil
1 tbs salt
1 tbs of sugar (or honey)
2 and 3/4 cups of all purpose flour (00 better)
2 and 1/2 ts of dry yeast

Preparazione

Versare acqua, sale, olio e zucchero nella macchina impastatrice (altrimenti a mano sul banco).
Aggiungere meta’ della farina e mischiare per un paio di minuti.
Aggiungere il lievito che avrete sciolto in acqua tiepida con poca acqua*
Impastare per 15 min a velocita’ bassa (2 del Kitchen Aid).

Stendere sul baco e coprire. Lasciare riposare 10 minuti.

Oliare la taglia. Rinforzate l’impasto piegandolo una volta su se stesso. Posare l’impasto sulla teglia e ungere la parte superiore. Lasciare lievitare in forno spento con luce accesa per 1 ora circa, fino al raddoppio dell’impasto.

Stendere l’impasto per tutta la lunghezza della teglia senza ‘tirare”. Pressare energicamente per ottenere il risultato. Cospargere abbondantemente di sale e lasciare riposare per 30 minuti.
Versare circa 1/4 cup di acqua sulla focaccia e un po di olio. Schiacciare con entrambe le mani (con tutte le dita) in maniera energica e profonda per tutta la focaccia, in modo da creare i caratteristici buchi.

Lasciare lievitare in forno per 1 o 2 ore a seconda del clima.
Cuocere a 440f a media altezza per 20 minuti circa
Una volta sfornata spennellare di olio la parte superiore e far asciugare su un rack per biscotti.

* Aggiustare con farina l’acqua aggiunta per sciogliere il lievito. La relazione deve essere di 2 parti di farina per ogni due di acqua.

Buon appetito!

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Cultura

Il caffe’ giapponese negli USA

The Blue Bottle
The Blue Bottle

Tempo fa leggevo un articolo sul NYT sulla famosa macchina da caffe’ da 20000 dollari.
Si tratta di una maniera di preparare il caffe’ che e’ stata inventata negli Stati Uniti ad inizio del secolo scorso e poi caduta nel dimenticatoio. Il caffe’ prodotto riesce a mantenere tutto l’aroma del caffe’, senza tostare ulteriormente la miscela. Si basa sostanzialmente su due ampolle, una inferiore contenente l’acqua da bollire, una superiore che contiene la miscela. L’acqua in ebollizione si sposta nell’ampolla superiore dove rimane per il tempo necessario all’infusione, per poi ricedere per gravita’.
I giapponesi hanno reinventato questo principio aggiungendo una lampada alogena come fonte di calore, rendendo il tutto piu’ fancy e costoso con un’ottima operazione di marketing.

Il Blue Bottle cafe’ di San Francisco e’ stato il primo ad importare la famosa macchina, poi seguito, ovviamente, da un paio di cafe’ di Portland. Ho provato il caffe’ da Barista, qui nel Pearl ed e’ effettivamente unico.
Ovviamente ho subito voluto una diavoleria simile a casa e dopo un paio di ricerche ho trovato una macchina a vacuum per circa $80 che e’ capace di produrre un caffe’ molto simile a quello che vendono per $11 al bar.

Sono ormai due settimane e sia la Pavoni a pompa, sia la macchina per il caffe’ americano stanno facendo la polvere. Provare per credere…

PS: chiedo scusa ma d’ora in poi ho seppellito le a’, e’, u’ in quanto nel mio nuovo Mac non ho la tastiera italiana.

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Cultura

Super bowl 2010

Eccoci arrivati a quello che è forse l’evento sportivo più importante negli Stati Uniti. E non solo a livello sportivo: milioni di persone seguono l’evento solo per i famosi commercials e per abbuffarsi e bere birra in compagnia.

Il Super Bowl è un evento mediatico enorme. Mediamente il 92% delle case americane si sintonizza sull’evento e gli sponsor si fanno la guerra per spendere i milioni di dollari necessari ad apparire per un minuto, oltre a quelli già spesi per preparare il clip pubblicitario.

Supermercati, ristoranti e fast food hanno pronti menu speciali, rigorosamente to-go. Di quel 98% credo che solo una piccola percentuale sia realmente interessata all’evento sportivo. Io sono uno di quelli: mi piace il football, ma non seguo la stagione e sinceramente non ho ben chiare tutte le regole. Farò un salto da Burgerville a prendere lo speciale 10 cheesburger for 10 buks, inviteremo un paio di amici e magari sarà l’occasione per assaggiare la mia prima Northwest Ale che ho imbottigliato alcuni giorni fa.

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Cultura

L’importanza del fai da te

Una cosa che impar velocemente qui negli Stati Uniti è quanto la cultura del fai da te, DIY (do it yourself) sia permeante.

Ogni buon cittadino americano, specialmente di sesso maschile e soprattutto se vive in zone non densamente popolate, deve saper fare e disfare per proprio conto. Non mi riferisco a imbiancare la sala o il bagno, ma a vere e proprie attività di carpenteria.

Devi possedere “i tools” e devi dimostrare di saperli usare. Devi essere in grado di costruirti un mobile, aggiungere una stanza alla tua abitazione, riparare il radiatore della macchina, rifare l’impianto elettrico della casa e così via.

Ci sono numerosi grandi magazzini specializzati, tipo i nostri Leroy Merlin, ma ovunque e giganti, oltre ovviamente alla vendita online. Home Depot, Lowe’s, Harbor Freight solo per citarne alcuni.

La sega a tavolo
La sega a tavolo

Mio malgrado ho dovuto imparare a costruirmi quello che mi serve da buo do it yourselfer. Mi sono comprato, timidamente, i primi attrezzi, per poi andare “sul pesante” con quello che è considerato il vero e proprio battesimo del DIY: la sega a tavolo.
Con questo aggeggio non si scherza: devi saperlo maneggiare con forza e delicatezza allo stesso momento, per non lasciarci le falangi e creare tagli perfetti. Devi poi sapere quello che stai facendo: Google Sketchup la fa da padrona nella progettazione dei tuoi comodini e mobiletti. Poi devi fare comunità, ti devi iscrivere al forum dei segatori da tavolo e scambiare pareri, opinioni sull’ultimo modello Bosh e pacche sulla spalla virtuali quando uploadi foto del tuo ultimo, riuscitissimo, progetto.

Anche questo è essere americani.